La prova dell’evento nel reato di stalking

La prova dell’evento nel reato di stalking
21 Giugno 2019: La prova dell’evento nel reato di stalking 21 Giugno 2019

Con la sentenza n. 22843/2019 la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di stalking.

Nel caso di specie, la Corte di appello di Cagliari aveva confermato la condanna a due imputati per i delitti di atti persecutori di cui agli artt. 110 e 612-bis cod. pen. ai danni dei propri vicini di casa (due coniugi), per avere, mediante una serie di atti vandalici, minacce ed ingiurie, provocato ai predetti un perdurante stato di ansia e di paura tale da ingenerare in essi un fondato timore per la propria incolumità e per quella dei figli.

Avverso la predetta sentenza gli imputati presentavano ricorso per cassazione, censurando la sussistenza dei contestati atti persecutori (che sarebbero consistiti nel danneggiare l’abitazione dei vicini, nonché gettare immondizia nel cortile esterno).

Inoltre, secondo i ricorrenti, la sentenza di appello sarebbe stata addirittura non motivata in ordine all'evento del delitto di atti persecutori, in quanto “si afferma nella sentenza di appello che lo stato di ansia e di paura risulta dai certificati medici prodotti, ma i certificati non indicavano quale fosse la causa del predetto stato ed a che data questo risalisse. In realtà la S. [parte civile] aveva iniziato a soffrire di una forte depressione a seguito del parto e tale patologia si era aggravata in conseguenza della morte del padre”.

Inoltre, “il timore provato dai querelanti per l'incolumità dei figli trovava ragione esclusivamente nei loro disturbi psicologici e non certo nelle condotte ascritte ai ricorrenti, le quali, sulla base dell'imputazione loro contestata, erano dirette esclusivamente contro i beni e mai contro le persone”. 

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso inammissibile.

Con particolare riferimento all'evento del reato, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto la motivazione del Giudice d’appello del tutto logica ed adeguata e “comunque rispettosa dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di atti persecutori, secondo la quale la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S, Rv. 26962101); in particolare, neppure, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P, Rv. 27208601); soprattutto, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 25376401)”.

Correttamente, pertanto, i Giudici del merito avevano desunto la sussistenza dello stato di ansia, oltre che dalle dichiarazioni dei due querelanti, anche dalla idoneità dei comportamenti ascritti agli odierni ricorrenti a cagionare l'evento del reato.

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